15° Rapporto Censis sulla comunicazione: 5 spunti da tenere a mente

di Simona Grandini, pubblicato il 12/10/2018

Anche quest’anno abbiamo partecipato alla presentazione del rapporto Censis sulla comunicazione, che dal 2001 fotografa la dieta mediatica degli italiani.

Al centro del rapporto il fenomeno della disintermediazione digitale, guidato dalla diffusione di web e social: il 78,4% degli italiani usa internet almeno una volta alla settimana (+3,2%), il 73,8% lo smartphone (+4,2%), con una spesa in telefonia quadruplicata nell’arco di un decennio (+221,6%).

In crescita anche gli utenti dei social, che raggiungono il 72,5% della popolazione, con WhatsApp, Facebook e YouTube in vetta.

Al di là di questi dati – piuttosto prevedibili – l’analisi del Censis conferma alcuni fenomeni.

 

1) Muore il palisesto, si auto-producono i contenuti: tv sì, ma digitale.

La televisione resta il media più amato dagli italiani, ma assume vesti nuove: perdono quote il digitale terrestre e la tv satellitare (entrambe a -2,3 punti), mentre crescono la tv via internet (+20,1% nell’arco di un decennio) e la mobile-tv, che raggiunge il 25,9% degli spettatori (+14,7 punti rispetto a due anni fa). Parallelamente crescono le piattaforme di video in streaming – una su tutte, Netflix – che guadagnano 7 punti in un anno, mentre oltre la metà della popolazione (il 71,1% se si considerano solo i giovani under 30) guarda video su You Tube.

Perdono quote il digitale terrestre e la tv satellitare, crescono la tv via internet e la mobile-tv, che raggiunge il 25,9% degli spettatori.

Ad accomunare le nuove forme sono la desincronizzazione del palinsesto – guardo ciò che voglio, quando voglio – e la possibilità di auto-produrre contenuti.
Se fino ad ora solo le aziende più lungimiranti si erano vestite da broadcaster, ora la creazione di canali web o di web series diventa una modalità sempre più appetibile di parlare ai propri pubblici.

 

2) Nell’epoca dell’immagine, si reinventa il medium che ne è l’antitesi: la radio

Anche la radio vive un fenomeno simile: perde leggermente quella tradizionale, mentre cresce la radio via internet (17%) e da smartphone (35,6% tra gli under 30). Il dato più interessante riguarda la percezione di questo mezzo, al quale viene attribuito il primato della credibilità: il 69,7% degli italiani la considera un mezzo autorevole, non manipolatorio, affidabile ed equidistante.

il 69,7% degli italiani la considera un mezzo autorevole

Come se all’immagine venisse attributo non solo un grande fascino – pensiamo al successo di Instagram (26,7% di utenti, 55,2% tra i giovani) – ma anche un enorme potere di manipolazione.

 

3) Gli italiani aprono gli occhi sul web: lo usano ma non si fidano (più)

Gli italiani si informano ancora sul web, tanto che Facebook resta il secondo mezzo di informazione (lo usa in questo senso il 25,9% degli italiani). Eppure per la prima volta il colosso di Zuckerberg registra una battuta di arresto: -9,1% sul 2017.

25,9% degli italiani usa Facebook come mezzo di informazione

Complici il dibattito sulle fake news e lo scandalo di Cambridge Analitica, gli italiani assumono uno sguardo più critico sulle forme di informazione non professionali (per il 23,7% su Facebook si fa solo gossip), mentre si fa strada la convinzione che i giornali radio, le tv all news e la carta stampata siano più credibili e affidabili rispetto ad altre fonti web.

 

4) Cresce il press divide, muoiono i giornali, ma è davvero un fenomeno inarrestabile?

Il 56% degli italiani non inserisce nella propria dieta mediatica i mezzi cartacei, siano essi giornali, periodici, riviste o libri. Crolla la lettura dei quotidiani, letti dal 37,4% degli italiani (erano il 67% dieci anni fa), senza che le testate on line (26,3%) siano in grado di compensare l’emorragia.
Ma il declino della carta non significa il declino dell’informazione di qualità: i giornali sono ancora ritenuti affidabili dal 64,3% degli italiani, senza distinzione di età.
Per la prima volta gli italiani sembrano riscoprire i contenuti di qualità.

Il 64,3% degli italiani ritiene che i giornali siano affidabili

Emblematiche a tale proposito le parole del ceo del New York Times, Mark Thompson: «Quanti giornali italiani o anche francesi sopravvivranno? Pochi o forse nessuno se non cambieranno la propria strategia». Mentre la stampa Usa perdeva il 32% degli abbonati, la testata guidata da Thompson è passata dagli 1,8 milioni di abbonati del 2011 ai quasi 4 milioni del 2018. Come? Sostituendo la pubblicità con gli abbonamenti e investendo nella redazione, a garanzia della propria affidabilità.

 

5) La reputazione è disseminata e disintermediata, ma proprio per questo serve presidiarla

La disintermediazione digitale tocca ogni ambito: su web ascoltiamo musica, troviamo strade, svolgiamo operazioni bancarie, facciamo acquisti, prenotiamo viaggi, sbrighiamo pratiche con uffici pubblici, prenotiamo visite mediche.

La reputazione delle aziende è sempre più bisognosa di presidio

In una società liquida, disintermediata, anche la reputazione delle aziende diventa liquida: non si costruisce più in un unico luogo, ma è disseminata in molti punti diversi e proprio per questo sempre più bisognosa di presidio. Rendite di posizione non esistono più, per nessuno.

 

Photo by Jon Tyson on Unsplash

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